Il corpo ci parla
Come la narrazione intorno alla trisomia 21 si deposita nel corpo dei genitori
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Prima di iniziare a leggere, sintonizzati con il tuo ritmo: fai un respiro. Porta l’attenzione al tuo corpo e rilascia ogni tensione. Respira lentamente nella zona del cuore per 60 secondi, concentrandoti su una sensazione di calma. Rimani connesso al tuo corpo mentre leggi. Clicca qui per scoprire perché ti suggerisco questo.
Che tu sia all’inizio del percorso o abbia già camminato a lungo, probabilmente conosci quella sensazione di allerta che ti entra sotto la pelle ogni volta che la conversazione ruota attorno a ciò che tuo figlio “non farà”. In pochi istanti il cuore accelera, le spalle si irrigidiscono, il sonno scompare: il corpo parla prima della mente.
L’articolo che segue nasce per decifrare questo linguaggio. Invece di rimanere intrappolati nei “non potrà”, esploreremo come lo stress cronico si manifesta nel fisico dei genitori, e soprattutto come riconoscere l’automatismo che lega sensazione, pensiero ed emozione.
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Quando l’ansia è nell’aria
Ogni volta che qualcuno ci ricorda tutto ciò che nostro figlio “non potrà fare”, l’ambiente intorno a noi si fa più denso. È un’atmosfera carica di aspettative negative: basta un post sui social, un colloquio scolastico o la voce di un esperto che sottolinea i limiti, e subito il petto si stringe e lo stomaco si chiude. Da questa nebbia di paure - un futuro incerto e la sensazione di dover reggere il mondo da soli - nascono i disturbi psicosomatici più subdoli.
Me lo raccontate spesso: di notte il cervello non smette di girare, l’insonnia diventa la norma. Il sistema nervoso, iper-attivato, secerne cortisolo a ondate continue e, al momento di dormire, non trova più l’interruttore. Di giorno arrivano i mal di testa che partono dalle tempie e scivolano sulla nuca, o quella fascia dura sulle spalle che pare cemento armato: non è solo postura, è la modalità attacco-fuga rimasta incastrata a metà. Gli studi confermano che i genitori di bambini con trisomia 21 riportano livelli di stress e sintomi depressivi superiori a quelli dei coetanei con figli a sviluppo tipico. Ti lascio un articolo interessante su questo argomento ➔ Psychological wellbeing in parents of children with Down syndrome: A systematic review and meta-analysis.
Il tratto digestivo fa la sua parte: reflusso, gonfiore, crampi, un grappolo di sintomi che sembrano inspiegabili finché non colleghiamo l’ansia. Il cuore scatta con tachicardie improvvise, segno che il corpo si prepara a correre pur restando fermo. E poi c’è la stanchezza cronica: ci svegliamo già in riserva, logorati da sonno leggero, digestione lenta, muscoli tesi. Con il cortisolo sempre alto, il sistema immunitario abbassa la guardia: raffreddori interminabili, herpes frequenti, piccole infiammazioni cutanee. I ricercatori parlano di allostatic load, il costo biologico dello stress cronico. Qui ti lascio uno studio interessante ➔ Allostatic load in parents of children with developmental disorders: Moderating influence of positive affect. Spuntano pure segnali più sfumati—vertigini, formicolii, pelle che pizzica - che archiviamo come “stranezze” senza notare che è il sistema nervoso periferico in cerca di equilibrio.
Capire che tutto questo ha radici emotive non significa “inventarsi” la malattia: vuol dire dare un nome a un meccanismo preciso. La mente, bombardata da racconti catastrofici, mantiene il corpo in perenne modalità emergenza. Il primo passo per spezzare l’automatismo è riconoscerlo.
Riconoscere l’automatismo in azione
Per “tracciare al volo la catena sensazione-pensiero-emozione”, immagina di diventare per qualche secondo il cronista interno di ciò che succede, come se stessi registrando la scena con una telecamera molto ravvicinata.
La scintilla fisica: Tutto inizia con un segnale del corpo: un pugno allo stomaco, il petto che si comprime, la mascella che si irrigidisce. Non scacciarlo subito; osservalo. Dagli un nome preciso - fitta, calore, peso: etichettarlo ne smorza già l’intensità.
Il pensiero lampo: Subito dopo, o quasi in contemporanea, spunta un pensiero rapidissimo, magari in forma di immagine: “Succederà qualcosa di grave”, “Non sono capace”, “Mi stanno giudicando”. Metterlo in parole lo tira fuori dalla nebbia dell’inconscio: finché resta vago, guida il corpo; quando lo nomini, lo ridimensioni.
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