Quando il gruppo fa davvero la differenza
Come aiutare i bambini con Trisomia 21 a crescere attraverso esperienze di partecipazione reale, e non solo con l’idea di inclusione. Indicazioni pratiche per genitori, educatori e insegnanti.
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In questo spazio troverai riflessioni e strumenti di coaching pensati per genitori di bambini con Trisomia 21.
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Perché i nostri bambini con la Trisomia 21 non crescono da soli
C’è una cosa che ho imparato, e che continuo a vedere confermata ogni giorno, in famiglia, nei laboratori, nei colloqui con genitori e insegnanti: nessun bambino cresce da solo. Non importa quanti strumenti abbiamo a disposizione, quante terapie facciamo o quanto sia bravo il singolo insegnante, educatore o terapista. Se attorno al bambino non c’è un contesto relazionale vivo, potenziante e rispettoso qualcosa si blocca.
La crescita – soprattutto nei bambini con Trisomia 21 – non avviene nel silenzio né nell’isolamento. Ha bisogno di relazioni vere, di presenza, di possibilità condivise. Per questo, il gruppo non è solo un “posto” in cui mettere il bambino per non lasciarlo da solo. Il gruppo è un ambiente attivo, che stimola, che allena, che mette alla prova, che costruisce.
Negli ultimi anni, anche le neuroscienze ci stanno confermando che quando un bambino è inserito in un gruppo aperto, accogliente, dove può partecipare senza pressioni, si attivano proprio quelle aree del cervello su cui vogliamo lavorare: attenzione, linguaggio, regolazione emotiva, motivazione. E non servono esercizi complicati: serve la possibilità di esserci, di interagire, di provare. Si, di provare, sbagliare e riprovare.
Serve che il gruppo sia reale, non solo presente.
Ecco perché dico spesso che il gruppo costruisce il cervello. Non solo in senso metaforico: è proprio così. Il confronto con gli altri, il turno, l’attesa, il fallimento, la gioia di una collaborazione riuscita, sono tutte esperienze che modellano la mente e rinforzano l’identità. Esperienze che i bambini con T21 hanno il diritto – e il bisogno – di vivere pienamente.
Eppure, troppo spesso parliamo di inclusione in modo freddo. Come se bastasse che il bambino “ci sia” per dire che è incluso. Ma vivere il gruppo è molto più che esserci. È fare esperienza della vita vera. Con i suoi alti e bassi, con le fatiche e le scoperte, con le piccole vittorie e le grandi frustrazioni. È imparare a stare nel mondo, dentro una realtà che si muove, che a volte accoglie e a volte mette alla prova.
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