Quando lo sguardo parla al posto delle parole
Riscoprire il potere della joint attention nella relazione con i nostri figli
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In questo spazio troverai riflessioni e strumenti di coaching pensati per genitori di bambini con Trisomia 21.
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Ci sono giorni in cui ci chiediamo cosa possiamo fare di più per i nostri figli. Li guardiamo mentre fanno fatica, mentre si chiudono, mentre ci evitano. E dentro di noi nasce quella sensazione di impotenza, quel bisogno di trovare la strada giusta per aiutarli davvero. Ma a volte, la strada non passa da ciò che dobbiamo dire o fare. Passa da qualcosa di più semplice, ma anche più profondo: come li guardiamo.
In questo articolo ho raccolto pensieri, riflessioni e strumenti sul potere dello sguardo condiviso, soprattutto nella relazione con i nostri figli con trisomia 21. Perché è proprio lì, negli occhi, che si costruisce sicurezza, fiducia, connessione. Anche quando non ci sono parole.
Anche quando sembra non arrivare niente… in realtà, sta già succedendo tutto.
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C’è un gesto che spesso diamo per scontato. Uno dei più semplici, uno dei più antichi. Uno dei più potenti che abbiamo a nostra disposizione per comunicare: guardarsi negli occhi. Accade fin dai primi mesi di vita. Accade quando il nostro bambino ci cerca, anche se non sa ancora parlare. Accade quando vuole sentire se ci siamo, se siamo con lui, se il suo mondo è sicuro.
La Professoressa Daniela Lucangeli, in molte delle sue lezioni, definisce lo sguardo “occhi negli occhi” come un vero e proprio interruttore evolutivo:
“Lo sguardo condiviso attiva le strutture Mirror del nostro cervello. È come se dicessimo all’altro: Tu esisti per me, e io mi riconosco in te.”
Il rispecchiamento: un linguaggio del cervello (prima delle parole)
Nel nostro cervello esistono delle strutture particolari chiamate neuroni specchio (Mirror neurons), ne abbiamo già parlato in questo articolo:
Queste cellule si attivano sia quando facciamo un’azione, sia quando vediamo qualcun altro farla.
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